“Nella salute e nella malattia” Testimonianza di Silvia Pieri

4 marzo 2023 Villachiaviche

Buonasera,
sono qui questa sera per darvi una testimonianza semplice e diretta di come la nostra famiglia ha
affrontato i lunghi anni di malattia del nostro amato Roberto, che purtroppo ci ha lasciati lo scorso
19 gennaio.


Roberto ed io eravamo sposati da nove anni, lui 38 anni, io 34, una vita felice, serena, due bellissimi
bambini, due lavori, tanti amici, amavamo la convivialità, il ballo, la buona tavola, lo sport, quando
una mattina tutto cambia. Emorragia cerebrale, la situazione appare da subito gravissima, la disperazione ci assale.

Quaranta giorni di coma, poi il risveglio, lento, diverso da come ce lo raccontano nei film, Roberto non è più lo stesso, nessun movimento se non un residuo nell’arto sinistro e poche parole confuse, difficoltà ad articolare un discorso compiuto, agitazione, problemi comportamentali, però ci riconosce e questa è già una gioia.


Lunghi mesi in ospedali specializzati nella riabilitazione, nessun significativo miglioramento, due
passi avanti ed uno indietro, lunghe giornate al suo fianco, la disperazione continua. Ogni sera,
durante il viaggio che mi riporta a casa piango distrutta, poi mi ricompongo, i bambini mi aspettano, non voglio che mi vedano triste.

Stanno tutto il giorno con la nonna, una donna speciale, unica, forte, dolce, mai una parola fuori posto, aveva perso il marito molti anni prima, ed ora all’età di ottanta anni il suo adorato figlio si era ammalato.

Mi sono sempre chiesta come aveva sopportato tutto quel dolore e poi mi sono data la risposta, lo faceva per amore, un amore infinito ed incondizionato per il figlio, per i nipoti e per me.

Le raccontavo solo le giornate buone, quelle dove avevamo un poco di pace dai dolori, dalla confusione dei comportamenti, le cattive me le tenevo per me, perché era inutile soffrire in due.

Ci siamo protette a vicenda, senza tante parole, sapevamo di poter contare l’una sull’altra e sulla famiglia.

Una famiglia meravigliosa, che si era compattata tutta intorno a noi cercando di darci supporto concreto, affetto, sicurezza e conforto.

Non avevo mai conosciuto da vicino la malattia, per me era tutto nuovo, tutto così tremendamente difficile, doloroso. Cerco in ogni suo piccolo gesto, in ogni sua parola, un segno di ripresa, una qualsiasi cosa che mi faccia ricordare il marito che ho sposato, ma è ancora presto, non avevo ancora accettato il fatto che avrei avuto al mio fianco un Roberto diverso.
Nella notte affido le mie preghiere alla Madonna, a cui eravamo devoti, chiedendole di darci un poco di tranquillità, chiedevo a Lei che era stata capace di stare vicino al suo figlio nella croce, di darmi la stessa forza, ora che quella croce era entrata nella nostra casa.
Dopo diciotto mesi capisco che da sola non ce la posso fare, finisco per esaurirmi e non riuscire poi a seguire Roberto e i bambini, ma non solo, credo che è giunta l’ora per Roberto di avere altre persone a fianco che lo stimolino diversamente.

Avevo l’illusione di capirlo solo io, di fare bene solo io, per il troppo amore, per la troppa premura, ed invece sbagliavo.

Ogni badante, ogni assistente che ci ha poi coadiuvato, ci ha donato un pezzo della loro vita, le abbiamo rispettate e ci siamo aiutate a vicenda, senza di loro l’assistenza di Roberto a domicilio non sarebbe stata possibile, gli devo molto.
Non so se tornare al lavoro, lui mi sprona, prima di me capisce che è fondamentale per una mia realizzazione personale e per staccare la mente dalla routine delle cure.
Roberto nel frattempo si è stabilizzato, ha meno dolore e riaffiora sempre di più il suo carattere
affettuoso, dolce, solare, diventa il nostro catalizzatore d’amore
, tutto in casa gira intorno a lui, ogni
azione, ogni gesto, ogni decisione.

I bambini si abituano alla condizione mutata senza grosse difficoltà, ma lo sappiamo, loro sanno affrontare le cose con spirito diverso, senza chiedersi troppi perché. Marco ancora non parla, Anna mi chiede se il babbo tornerà a camminare, io le dico subito di no, non ritorniamo più sull’argomento.

Momenti di crisi, difficoltà, di stanchezza, ce ne sono stati tanti, l’impegno nell’assistenza era continuo, la vita non era più la stessa, tante cose non si potevano più fare, ogni giorno c’era una nuova sfida da affrontare.

A volte mi sono chiesta se era la cosa giusta, sia per me come donna, sia per i bambini, vivere una vita con tanti limiti, vicino ad una persona con grave disabilità, sia motoria, sia cognitiva, ma non sono mai arrivata a darmi una vera risposta, a comandare era il mio cuore, io stavo bene solo quando ero vicino a lui, non avrei sopportato di non averlo a casa con noi, eravamo una famiglia, un poco strampalata, con la sua “mezza testa”, come dicevo io prendendolo in giro, una famiglia un po’ speciale.

La sua assistenza necessitava di tanto impegno, sia fisico che organizzativo, ogni uscita, ogni progetto, ogni azione richiedeva attenzione, tempo, quel tempo che avevamo imparato a misurare a passi lenti.

Avevo deciso che bisognava rimboccarsi le maniche per portare aventi il nostro progetto di famiglia, io avevo bisogno di un marito e i bambini avevano bisogno di un padre.

D’altronde come ci hanno insegnato sin da piccoli, senza impegno non si ottengono risultati. Mi dicevo che non dovevo piangermi addosso, non ci avrebbe aiutato, ai bambini spiegavo che la malattia fa parte dell’essere umano, nella nostra famiglia era arrivata troppo presto, ma questa era la realtà e la dovevamo
accettare.
Nel frattempo avevamo acquistato un pulmino attrezzato per disabili, che ci aveva cambiato la vita,
potevamo essere autonomi nel trasportare Roberto e potevamo concederci di andare in campagna
dai nonni, andare alle festicciole di compleanno insieme ai bimbi, alle recite della scuola, come pure
alle cene organizzate dagli amici, al mare, insomma avevamo riacquistato una parte fondamentale
della nostra vita, la socialità.
Pensiamo alle tante cose che insieme possiamo ancora fare e non ci struggiamo per quelle che non possiamo più fare, la scelta è vincente.

La disperazione iniziale, l’angoscia, le paure, aveva lasciato posto alla serenità.


Mi dicono che sono brava, io rispondo che ho semplicemente continuato a fare la moglie, con amore
e con rispetto.

Anni prima avevamo pronunciato nel rito del matrimonio la famosa frase “nella gioia
e nel dolore, nella salute e nella malattia e di sostenerci l’un l’altro tutti i giorni della nostra vita”
,
ma non era il timore di non essere all’altezza della nostra promessa a tenerci uniti, era il nostro
amore, che ora posso dire così vero, così autentico, rafforzato dalla fede che ci accumunava.

Che bei momenti passati insieme, così tanti da farmi dimenticare quelli brutti, le uscite con gli amici,
i pranzi in famiglia, gli incontri con gli amici dell’associazione, in parrocchia, le passeggiate al mare,
le serate a mangiare bomboloni, i gelati.

Noi sempre insieme, buffi, strani, inconsueti, con una “mezza testa” ed il sorriso storto, non ci importa se qualcuno ci guarda in modo strano o imbarazzato, noi non lo siamo, io e lui sempre insieme.

A volte mi scambiano per la sua badante, per sua sorella, quando rispondo che sono la moglie mi guardano straniti.

Una volta una signora ha insistito dicendomi che Roberto poteva essere solo mio fratello. Le mamme che incontro nei lunghi ricoveri, mi ricordano come il loro, sia il vero dolore e non quello di una moglie. È allora che mi sono resa conto di quanto poco si creda nell’amore coniugale, di quanto poco ci si voglia investire.


Lui parla pochissimo, ma i suoi sguardi dicono tutto. In spiaggia, dopo poche settimane, già tutti lo salutano, in ospedale, riesce a farsi sintonizzare il televisore sul suo quiz preferito dagli altri pazienti, in vacanza si diverte a spaventarmi correndo sul lungomare con la sua carrozzina elettronica, durante una gara podistica, sprona l’amico che lo spinge, a correre più forte, insomma gli piace vivere, riesce a fatica a dire “la vita è bella”.


In casa riprende a modo suo il ruolo di padre, si fa sentire quando bisogna dare un alt, ed elargisce
baci e carezze quando occorre.


Nel 2005, con altri familiari di persone con cerebrolesione acquisita e con l’aiuto di alcune persone
già attive nel mondo del volontariato, fondiamo l’associazione di volontariato ACeA, Associazione
Cerebrolesioni Acquisite
, per dare supporto alle persone colpite da cerebrolesione acquisita e ai
loro famigliari,
facendoci forti delle nostre esperienze e delle esigenze di aggregazione, confronto,
e sensibilizzazione
, che i nostri assistiti sollevavano e che ci proponiamo tuttora di promuovere.

L’impegno ora era uscito dalla nostra casa, per abbracciare i bisogni di altri.


A volte mi chiedono come ho fatto a sostenere il peso della situazione, io rispondo che è stato solo
amore.

L’amore di una madre, di una moglie, dei figli, dei fratelli, dei nipoti, dei cognati, degli amici,
dei colleghi, tutti hanno contribuito a restituirci una vita serena ed appagante, dove nonostante la
disabilità, regnava l’equilibrio e la felicità.


Non si lamentava mai Roberto, ha sopportato ogni cura, si è risollevato più e più volte dagli
interventi subiti, dalle ricadute e dalle polmoniti che lo hanno afflitto negli ultimi anni.

Mi hanno detto che sono stata forte, io ripeto che l’esempio me lo dava lui.


Sono passati ventuno anni, ringrazio il Signore ogni giorno per avermelo lasciato così a lungo e per
avermi dato la salute per riuscire ad assisterlo.


I ragazzi sono grandi, li ha visti laurearsi, pare quasi li abbia aspettati, la stanchezza era tanta, li ha
accompagnati più che poteva, loro lo adorano, il mio più grande orgoglio. Insieme negli ultimi mesi
lo assistiamo.

Ogni carezza, ogni parola dolce, ogni bacio è per lui, per sollevarlo dalle fatiche della malattia.


Lo abbiamo amato moltissimo, curato e coccolato assiduamente, meticolosamente, non lasciando niente di intentato, lui ci ha ripagato non mollando mai, e continuando a donarci il suo sorriso fino a pochi giorni prima della morte.


Ora il vuoto è incolmabile, la casa è spenta, ci vuole tempo. Sappiamo che lui c’è, che ci segue da
lassù, che il suo è solo un cambio di stato.


Solo ora, dopo tanti anni di malattia, posso affermare che in fondo, senza saperlo, la nostra promessa di matrimonio, “nella salute e nella malattia”, ci ha indicato la strada per la felicità.


Grazie a tutti

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